| Il mio natale
L’atmosfera di questi giorni mi risveglia antichi ricordi, odori sapori di quando il Natale era veramente Natale. Si respirava l’aria di festa già all’interno della scuola, dove le suore ci insegnavano i canti Natalizi, la recita prima delle vacanze e ci aiutavano a scrivere la letterina che cominciava sempre con “Cari genitori”. C’era tanta eccitazione, le prove i costumi, la trepidazione della festa incipiente, le famiglie che si riunivano tutte intorno alla stessa tavola, e dopo la Messa della mezzanotte, tornare a casa e giocare a tombola fino a che sfinita mi addormentavo sul tavolo. Non si usava, almeno per le famiglie meno abbienti, fare l’albero di Natale, ma mio fratello allestiva un bellissimo presepe, pieno di tante figure, pastori, lavandaie, osti calzolai, che intenti ai loro mestieri creavano una bellissima allegoria. Le casette illuminate sapientemente con delle piccole torce erano poste sulle montagne fatte con la carta delle buste del pane, spruzzate di farina per simulare la neve, i monti degradavano fino alla valle. Su un prato di muschio e vellutello c’era un piccolo ponte sotto scorreva un ruscello fatto con la carta argentata dove si abbeveravano le pecore. Il cielo era di carta blu che avvolgeva la confezione della pasta, le stelline erano fatte con la porporina argentata, una grandissima cometa fluttuava sopra la capanna. Dopo tanti preparativi finalmente arrivava la vigilia di Natale, la tavola apparecchiata con i piatti di porcellana che si usavano solo per quella occasione era molto curata da mia madre che, come centro tavola metteva delle mele rosse che ci faceva lucidare, e non mancava mai una candela. La nostra era una famiglia che non poteva permettersi troppi sfarzi, mio padre e mia madre due artigiani si sobbarcavano una famiglia di 7 persone compresi i nonni , ma il Natale era sacro, noi bambini dovevamo avere il meglio, quindi sulla tavola la cena della tradizione romana con i fritti, la pasta con il tonno, il merluzzo con la maionese, e poi la frutta il torrone ed il panettone. Eravamo una famiglia allegra malgrado le finanze fossero poche e solo in quell’occasione mi accorgevo che mio padre mangiava come noi, mentre gli altri giorni dell’anno sosteneva sempre di non avere fame, per riempire di più il nostro piatto, ma poi mandava giù chili di bicarbonato scambiando per ulcera la sua fame. La mattina di Natale, la mia eccitazione saliva ancora, e si, era il giorno della letterina sotto il tovagliolo di papà, e la recita della poesia in piedi sulla seggiola che dovevo dire io in quanto la più piccola dei fratelli. Era una atmosfera magica, bellissima, l’amore si sentiva nell’aria, finito il pranzo ci riunivamo presso altre famiglie del palazzo che avevano bambini della mia età, andavamo con un portamonete con pochi spicci ed un sacchetto di bucce di mandarino che servivano per coprire i numeri delle cartelle della tombola. Non c’erano gli affanni di oggi per la scelta del regalo, ora l’attesa era per il 6 gennaio quando aspettavamo la Befana,
buon natale
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