TINELLO

il viaggio

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icon12  view post Posted on 6/11/2009, 15:31     +1   -1
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Tinellista

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Il viaggio

erano le 6 di mattina la stazione era deserta, l’aria pungente malgrado fosse fine settembre. Il bar non era ancora aperto e poche erano le persone che aspettavano quel treno che lo avrebbe portato tanto lontano dalla sua terra natia. In attesa c’era un ragazzo molto giovane aveva con se una grossa valigia di fibra marrone senza la maniglia e legata con dello spago, dentro, pochi vestiti ma tanti sogni, e una scatola di cartone dove la mamma aveva messo tutti i prodotti della sua terra, che lo avrebbero sfamato durante il lungo viaggio.
Un fischio lacerò la quiete dell’alba, e il treno sferragliando entrò in stazione proveniente dalla Sicilia, le carrozze di terza classe molto spoglie e di legno erano quasi vuote.
Un abbraccio ai fratelli ed alla mamma che non tratteneva le lacrime nel veder partire quel ragazzo così giovane verso una avventura più grande di lui, ma necessaria, per aiutare la famiglia numerosa con un padre disabile.
Salì sul vagone e dopo aver sistemato il suo misero bagaglio si affacciò al finestrino per stringere le mani che erano tese per un ultimo saluto, poi il capotreno gridò “in carrozza” fischiò, le porte si chiusero e le persone che diventavano sempre più piccole e più lontane fino a scomparire dalla sua vista, il primo distacco importante della sua vita era avvenuto, due grosse lacrime rigavano il viso, si sentiva come se lo avessero sradicato come un albero dalla sua terra.
Il giorno era fatto la ferrovia percorreva un tratto vicino al mare, i suoi occhi si spalancarono di fronte a tanta bellezza; era la prima volta che lo vedeva, la sua maestosità e il colore intenso, le onde che s’infrangevano sugli scogli formando la schiuma lo emozionarono lasciandolo a bocca aperta, sperava che quella visione non finisse mai per assaporare ancora più a lungo la magia, di una enorme distesa di acqua dove aveva letto pullulava di una vita abissale e coloratissima, lui che proveniva da una cittadina dell’entroterra dell’Aspromonte, una terra arida sassosa, dove lavorare la terra era una grande fatica ma il guadagno poco.
Un altro fischio lo distolse da quella immagine, il treno stava entrando nella galleria, il buio lo avvolse, e sperò fortemente che all’uscita potesse godere ancora della meraviglia del mare,ma appena uscì si rese conto che stavano di nuovo in mezzo alla campagna, il mare ormai era lontano dai suoi occhi ma quella splendida immagine era stampata nella sua mente non l’avrebbe mai dimenticata. Arrivarono stazione di Paola, e una frotta di gente occupò i posti ancora liberi, molti rientravano dalle ferie per la riapertura degli stabilimenti al nord, facce abbronzate, serene che lasciavano trasparire la gioia di avere vissuto un periodo nei posti dove c’erano le loro radici, e anche assaporò lui il momento in cui sarebbe tornato nella sua terra.
Vicino a lui sedette un ragazzo, aveva con un bagaglio simile al suo, si approcciarono con molta timidezza, poi si presentarono: ciao sono Domenico disse il primo, piacere Giacomo rispose il secondo e cominciarono a parlare, entrambi andavano a Torino in Fiat a fare gli operai, era un viaggio lungo; avere una persona con cui parlare avrebbe reso il tutto più accettabile. Di fronte a loro prese posto una signora che vedendoli così giovani e abbastanza spaesati, cercò di metterli a proprio agio, offrendogli un po’ di te freddo che aveva in un termos e dei panini, i ragazzi accettarono riconoscenti, poi Giacomo cercò una posizione comoda, mise il cappellino sugli occhi e si addormentò.
Ecco erano arrivati a Roma, la sosta era più lunga e Domenico scese, acquistò dei gettoni e telefonò alla mamma per rassicurarla, che tutto andava bene che erano nella città eterna, ordinò dei caffè e ne portò uno anche alla signora ed al suo compagno, poi aprì la scatola che gli aveva dato la mamma e tirò fuori una soppressata profumatissima, l’affettò e la offrì insieme al pane fatto in casa ai suoi compagni di viaggio. Nel frattempo era salito un uomo di circa 40 anni che si sedette vicino alla signora, strano tipo, molto elegante, distinto che subito prese confidenza con i passeggeri,
Il treno andava e ognuno di loro cominciò a chiedere qualcosa all’altro per fare quattro chiacchiere,
guardando fuori dal finestrino domenica vide la Torre di Pisa, rimase incantato per lui erano immagini viste solo sui libri di scuola, e quando stavano per arrivare a Firenze intravise anche la chiesa di Santa Maria Novella, con la Cupola del Brunelleschi si stropicciò gli occhi con un fare infantile come se volesse dire ma sogno o sono desto? Ripresero a conversare, Domenico spiegò che aveva fatto domanda alla Fiat e che dopo un anno avevano risposto quindi andava li, così anche Giacomo che nel frattempo si era svegliato raccontò che era stato assunto, ma entrambi erano preoccupati per quello che avrebbero dovuto affrontare lontani da casa, in una grande città, l’alloggio da pagare, il lavoro, ma l’ultimo viaggiatore che si era aggiunto, li rassicurò dicendo che lui era di Venaria, vicino a Torino e che li avrebbe aiutati a cercare un alloggio. I ragazzi risposero che avevano già un posto per dormire alla Falchera periferia nord dove di solito vivono gli emigrati che arrivano per lavorare in Piemonte.
Erano già passate parecchie ore, toton toton, toton toton, toton toton, il rumore delle ruote sulle rotaie conciliarono il sonno a Domenico, che scivolò in braccio a Morfeo poggiando la testa nell’incavo del finestrino, ma aveva un sonno agitato, chissà cosa passava nella sua mente, chissà quali incubi stava vivendo, e quando la respirazione si fece più affannosa e veloce e, sembrava che stesse vivendo un film dell’orrore, la voce del controllore che chiedeva “biglietti” lo svegliò. Era madido di sudore, gli occhi velati dal sonno alla ricerca di un viso familiare, ma poi si ricordò che era sul treno si ricompose e chiese scusa. Aveva fatto un orribile sogno, ma non volle parlarne. Tirò fuori dal portafoglio dove faceva bella mostra la foto della sua famiglia e lo porse per il controllo.
Passarono altre 2 ore e finalmente entrarono nella stazione di Torino, c’era un gran vociare, un gran movimento in quella stazione che a lui parve grandissima, riunì le sue cose e si mise in fila nel corridoio per scendere seguito da Giacomo e dal signore con cui avevano condiviso il tragitto .La signora era attesa salutò fece gli auguri a entrambi e si affrettò a scendere, loro lo fecero quasi per ultimi, e si avviarono all’esterno.
Cercarono il bus che li doveva portare a destinazione si scambiarono gli indirizzi con il signore di Venaria che disse di chiamarsi Ernesto, e sparirono inghiottiti dalla città; a lui che non era mai uscito dal suo paese Torino parve magica, la Mole Antonelliana che si stagliava altissima in cielo, i portici con tanti bei bar di lusso, le vetrine piene di cioccolatini, e la piazza immensa con i monumenti equestri, pensò con un velo di nostalgia alla piazzetta del suo paese, con un bar sgangherato, i vecchi intenti a giocare una partita a briscola per passare il tempo, con un bicchiere di vino rosso da bere in compagnia, più in la le donne seduta sui gradini di casa che chiacchieravano mentre ricamavano i corredi per le proprie figlie.
Giunse alla fermata dove doveva scendere e prese possesso dell’alloggio, una stanzetta piccola con il bagno fuori, un arredamento molto spartano, ma a lui sembrò una reggia finalmente dormiva da solo, e non doveva più condividere la stanza con i suoi 4 fratelli, Giacomo aveva la stanza sullo stesso pianerottolo vicino alla sua, poi decisero, per risparmiare di dormire nella stessa stanza.
La mattina si recarono per espletare tutte le pratiche per l’assunzione, il giorno dopo erano di turno alle 6, tornati a casa, diedero fondo alle vettovaglie che la mamma di Domenico aveva preparato, e poi a letto presto avevano vissuto molte emozioni in soli 2 giorni.
La sveglia suonò alle 4,45, era buio, già sui corridoi c’era un gran via vai, tanti operai avevano il turno presto, uscì insieme a Giacomo, quando arrivò davanti ai cancelli rimaste esterrefatto per la marea di operai che aspettavano il turno, era in mare di teste.
Il lavoro era impegnativo anche perché di meccanica non si intendeva gran ché, ed anche massacrante un ora di pranzo, e poi di nuovo altre 4 ore, ma era felice, sapeva che con i soldi poteva aiutare la sua famiglia.
Passarono i mesi, e quel sogno orribile che aveva fatto era diventato realtà da casa un telegramma lo avvisava che il papà era molto malato e che aveva bisogno di cure molto costose.
Capì che i soldi che mandava a casa non sarebbero bastati per sostenere le spese per le terapie, allora chiese un cambio turno, di notte si guadagnava di più.
All’inizio fu molto duro perché il suo corpo non si adattava alla vita notturna, ma poi pian pianoil suo bio-ritmo riuscì a superare la grande stanchezza che lo coglieva all’alba, però era felice, guadagnava di più e in fabbrica c’era una ragazza anch’essa calabrese che a lui piaceva tantissimo, e con la quale aveva instaurato una bella amicizia, sperava che lei si accorgesse del sentimento che nutriva per lei oltre all’amicizia cominciava a far capolino l’amore.
Aveva saputo che era il giorno del suo compleanno, voleva stupirla, andò in centro a Torino e le comprò 3 rose di un colore che non aveva mai visto andava dal giallo chiaro al salmone. Fece fare una bella confezione con della nebbiolina bianca e un bel fiocco, poi scrisse il biglietto “cento di questi giorni Nunziatina” con amicizia Domenico.
Mentre si apprestava ad uscire incrociò Ernesto, il quale fu molto felice di averlo incontrato lo invitò a prendere una cioccolata calda e qualche pasticcino, poi gli chiese come stava e lui lo mise al corrente che per aiutare la famiglia aveva dovuto cambiare il turno, ma che si sentiva veramente stanco era massacrante.
Poi Domenico lo salutò doveva sbrigarsi ad andare a prendere qualcosa per la cena e correre in fabbrica. Ernesto gli disse, chiamami al telefono, quello che ti ho scritto sul biglietto così qualche volta ci incontriamo e magari trascorriamo una giornata insieme.
Arrivò allo stabilimento con un po’ di anticipo, non voleva che i colleghi lo vedessero con il mazzo di fiori, entrò andò nello spogliatoio e dopo aver indossato la tuta, attese la ragazza.
La vide da lontano le andò incontro e le offrì i fiori, lei arrossì e nel prenderli le sfiorò appena la mano, lui sentì le farfalle nello stomaco un senso di felicità ed il cuore andare a duemila.
Sentiva questo sentimento crescere sempre di più e trovò il coraggio di chiederle di uscire, lei accettò; iniziava la loro bellissima storia d’amore, fatta di tenerezze, di batticuore, di mani appena sfiorate fino ad arrivare al primo bacio. Quanta dolcezza in quel bacio al parco del Valentino in una sera fredda d’inverno, con quel bacio credeva di aver conquistato il mondo.
I giorni passavano, il loro amore cresceva ma lui si sentiva veramente a pezzi, decise di chiamare Ernesto per chiedergli se per caso conoscesse un medico per farsi dare qualcosa che lo aiutasse a superare la fatica. Si incontrarono in piazza Roma, ed Ernesto gli disse che aveva un rimedio per quella stanchezza che sentiva, lo portò a casa sua e gli diede una cartina ripiegata. Domenico gli chiese se la doveva sciogliere nell’acqua, ma Ernesto rispose: - No la devi aspirare vedrai ti darà la forza di andare avanti. Domenico chiese:- ma cosa è? Non ti preoccupare rispose vedrai ti farà sentire meglio.
Cominciò il suo nuovo viaggio non in treno ma attraverso il tunnel della droga, un tunnel che non aveva mai percorso, un tunnel pericoloso dal quale uscire sarebbe stato molto difficile.
Nunziatina si accorse che c’era qualcosa che non andava, passava da un grande abbattimento ad una grande euforia, e da una grande tenerezza ad una grande irascibilità. Cercò di farsi dire cosa avesse ma lui non volle darle spiegazioni.
Le cose cominciarono ad andare male sempre litigi, anche se poi Domenico cercava di recuperare i suoi atteggiamenti negativi con dei fiori coccole e cioccolatini. Un giorno Nunziatina gli disse che se non fosse stato sincero con lei, lo avrebbe lasciato e non si sarebbe voltata indietro.
Domenico stava malissimo, ma Ernesto non aveva più intenzione di fargli credito, e non lo rifornì più.
Era fuori di se, vagava come uno zombi per le strade di Torino, incontrò un tipo losco che gli chiese se voleva la roba, a poco. Lui l’eroina non l’aveva mai provata e stava per aspirarla come faceva con la coca, lo spacciatore lo fermò spiegandogli che la doveva iniettare. Gli diede anche la siringa e il laccio in modo di facilitargli il compito, pensando che poi sarebbe potuto diventare un suo cliente e, come prima volta la iniettò lui.
Domenico si sentì subito male lo spacciatore scappò lasciandogli la siringa infilata nel braccio, ma poi fece una chiamata anonima al 113 per avvisare che c’era un ragazzo che stava male e diede l’indirizzo di dove l’avrebbero trovato, e urlò “Fate presto”
Arrivò l’autoambulanza che lo portò alle Molinette, era gravissimo in crisi cardio circolatoria, cercarono di trovare un parente per metterlo al corrente, ma la ricerca fu infruttuosa, poi, nella giacca trovarono il cartellino di riconoscimento della Fiat e l’indirizzo di Nunziatina la contattarono e lei corse in ospedale.
Domenico era appeso ad un filo di vita ed in coma, era intubato e la respirazione era assistita. Intanto i familiari chiamavano la proprietaria del condominio erano preoccupati del suo silenzio, la signora, su indicazione della fidanzata disse loro che non stava bene aveva una fortissima influenza e non si alzava dal letto, ma che non dovevano preoccuparsi li avrebbe chiamati appena si fosse sentito meglio.
La ragazza chiese le ferie si sedette vicino a lui lo vegliò giorno e notte, finchè una mattina sentì una mano che le toccava la testa che aveva reclinato sul letto per riposare un pò. Si svegliò anche Domenico si era svegliato dal coma, i medici entrano di corsa, la fecero uscire per controllare la situazione, poi il medico uscendo con un grandissimo sorriso disse: E’ fuori pericolo entri un attimo lo abbracci, ma non lo stanchi, ora ancora di più per dimenticare ha bisogno di tutto il sostegno e di tutto il suo amore.
Finì così il viaggio di Domenico nel tunnel della droga sarebbe stata dura la disintossicazione, ma doveva riuscirci per iniziarne ancora un altro verso una nuova vita.
Era estate, Domenico si era rimesso, e con la sua fidanzata decisero di tornare nel paese natio per trascorrere le ferie e per presentarla alla sua famiglia. Nel frattempo il padre era guarito, l’altro fratello si era diplomato ed aveva trovato un lavoro a Reggio Calabria, i due più piccoli ancora si dovevano diplomare, ma erano bravi e studiavano con impegno.
Quando il treno entrò nella stazione, videro un gruppetto di persone riconobbe sua mamma i suoi fratelli, fu preso da una grandissima commozione, e non appena il treno si fermò, prese il bagaglio aiutò la sua ragazza a scendere e si strinse alla mamma in un abbraccio che sembrava non dovesse finire mai.
Andarono verso casa, tutto il paese che aveva saputo del ritorno usciva dalle case, dal bar per salutarlo era gente semplice che con piccoli gesti dimostravano l’affetto per ragazzino che era cresciuto li, per vedere quella bella ragazza che aveva portato con se, e furono ricoperti di prodotti locali, per festeggiare quel ragazzo che era stato a lavorare a Torino.
Parlarono con i genitori del progetto di sposarsi, loro ne furono felicissimi, prepararono i documenti per il grande passo, decisero la data il 14 febbraio San Valentino, la mamma si trasferì per un periodo da loro per i preparativi, ed in un turbinio di tulle con le note della marcia nuziale, in una giornata piena di sole iniziò un nuovo viaggio, da vivere in due il più bello della sua vita.

Edited by 7rediroma - 17/11/2009, 10:04
 
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